Il Frico friulano è un piatto povero e gustoso che appartiene alla tradizione regionale e che ha un fascino storico e leggendario. Una specialità enogastronomica la cui creazione risale a centinaia di anni fa e che si trova ancora oggi in moltissime trattorie e locali del Friuli Venezia Giulia, specialmente in quelle che danno maggiore spazio alla cucina tradizionale.
Si tratta di un tortino di formaggi molto delizioso, non certamente “leggero” ma molto gustoso, che si può mangiare in due versioni, quella morbida e quella friabile, ma che in entrambe resta sicuramente impresso nelle papille gustative di tutti, tanto che successivamente sia da parte dei friulani che dei turisti viene richiesto appena possibile. Il frico è anche uno dei protagonisti principali di tante sagre che si svolgono nella regione ed in alcuni casi ci sono delle sagre dedicate propri a questo piatti, rivisitato in molte maniere, sia salato che dolce. Per chi desidera gustarlo in casa propria sono disponibili delle confezioni di 180 grammi in varie ricette, dalla versione classica fino a quelle con speck od erbette, che si possono acquistare sul sito di Foodaloo. Per preparalo è sufficiente scaldarlo al massimo per 2 minuti da ogni lato, in un pentolino antiaderente. In alternativa si può utilizzare il microonde. Dopo averlo scaldato è possibile preparare un antipasto mettendolo, dopo averlo suddiviso a pezzetti, su un crostino di polenta, oppure un secondo adagiandolo su una base di rucola.
Il frico friulano tra storia e leggenda
Se si ricerca nel tempo la prima testimonianza sul territorio del Friuli di una ricetta a base di formaggi con preparazione morbida si deve risalire fino alla metà del Quindicesimo secolo. L’autore era il Maestro Martino il quale mentre era a corte di Ludovico Trevisan, Patriarca di Aquileia preparava una ricetta molto deliziosa chiamata “Caso in patellecte”, della quale si trova una trascrizione in un famoso trattato di cucina, il “Libro de arte coquinaria” che lo stesso Maestro Martino scrisse. Gli ingredienti di questo piatto erano molto semplici: si utilizzava del formaggio grasso, con una maturazione media, che veniva tagliato a fette, e dello strutto fresco che aveva lo scopo di non far attaccare il formaggio alla padella nella quale veniva preparato. Il tutto era completato da un condimento fatto di erbe e spezie. Dopo la cottura, come riportato dallo stesso cuoco, il frico veniva messo direttamente nel piatto perché già all’epoca “si vol magnare caldo caldo”. La ricetta di questo piatto sembra originaria del territorio della Carnia, in quanto il frico rappresentava, secondo alcune fonti storiche, il pasto dei contadini nei giorni di lavoro, insieme con la polenta di mais. Per quanto riguarda la versione croccante del piatto, è pensabile che venisse utilizzata specialmente dai boscaioli in quanto. oltre ad essere più duratura nel tempo, poteva essere trasportata più facilmente all’interno degli zaini quando si spostavano sulle montagne per tagliare i boschi. Anche allora il frico ea essenzialmente un piatto “povero” che veniva preparato sfruttando quegli ingredienti che si avevano a disposizione ed in molti casi la sua preparazione veniva fatta per non gettare via i ritagli di formaggio avanzati quando i casari realizzavano le forme. Oggi quei ritagli si chiamano “strissulis” ed anche con quelli è possibile la preparazione di un piatto molto gustoso. Un’altra storia leggendaria è quella legata alla figura del patrono di Udine, Sant’Ermacora. Secondo questa leggenda il santo viaggiava per il Friuli per portare in tutti i paesi il “Vangelo”. In una occasione Sant’Ermacora raggiunse la Carnia e si fermò in alcuni paesi come Zuglio, Ampezzo, Imponzo e Forni di Sopra. Durante le sue predicazioni il Santo entrò in una casa chiedendo un riparo e del cibo a dei poveri pastori, che pur essendo molto ospitali non avevano molto da mettere a sua disposizione. Il padrone di casa dunque potette dare a Sant’Ermacora solamente una fetta di polenta, un pezzo di formaggio e del siero. Visti questi cibi, il Santo disse al pastore di porre sul fuoco il siero, ed una volta raggiunta l’ebollizione aggiunse l’acqua fredda, il caglio e dell’aceto. Con questa ricetta improvvisata al momento nella ciotola sul fuoco si formò una poltiglia di colore biancastro e in quel momento il padrone di casa, visto che scottava ci aggiunse la “scuete”, della ricotta, mettendo insieme un pasto delizioso che fu molto apprezzato da Sant’Ermacora che poi, una volta tornato a Udine lo tramandò ai posteri.
La ricetta di questo tipico piatto friulano
Il frico si presenta come un “tortino di formaggi”, al quale vengono aggiunti, a seconda dei gusti e delle zone in cui viene preparato, delle patate e cipolle, e nella zona di Sauri, anche dello speck. Normalmente il frico è morbido e filante, caldo all’interno ed in alcune occasioni con una crosta “croccante”, mentre normalmente vie cotto in maniera “omogenea”. La versione “croccante” si differisce in quanto si basa su formaggio stagionato che dopo essere stato grattato viene “fritto” e utilizzato in cialde sia come parte di un aperitivo che di uno spuntino veloce. Uno dei formaggi maggiormente usati per la preparazione del frico è il Montasio, con una stagionatura che va da un minimo di 6 mesi ad un massimo di 12. Naturalmente le ricette con le quali questo piatto viene preparato variano da località a località ed anche nello stesso paese o cittadina tra le varie famiglie, ognuna con il suo tocco particolare che la contraddistingue. E’ quindi impossibile avere una ricetta “unica”, per cui si può indicare quella che è stata selezionata dall’Agenzia regionale per lo sviluppo rurale, “ERSA” che si basa su formaggi preparati in Friuli Venezia Giulia e con l’aggiunta di patate. Gli ingredienti indicati in questa ricetta sono 250 g di patate del tipo a pasta gialla, 260 grammi di formaggio equamente divisi tra freschi e stagionati, 30 grammi di burro, 50 grammi di cipolle bianche e pepe e sale q.b. Per preparare questa ricetta si inizia facendo sciogliere il burro all’interno di una padella antiaderente, poi si aggiunge la cipolla tritata e la si fa appassire. Le patate devono essere pelate e successivamente tagliate a fette sottili, aggiungendole poi alla cipolla e proseguendo la cottura per 30 minuti avendo cura di mescolare regolarmente. Prima di aggiungere il formaggio a piccoli cubetti si devono aggiungere sale e pepe secondo il gusto e poi mescolare il tutto fino al completo scioglimento del formaggio. Abbassare la fiamma e continuare la cottura fino a creare una crosticina nella parte inferiore del composto, poi lo stesso deve essere voltato come una frittata. Quando anche dalla parte opposta si è formata la crosta la cottura è terminata e si può servire il piatto, mangiandolo ben caldo ed accompagnato da uno dei classici vini rossi della regione.
Il frico può anche essere servito come dessert
La tradizione presenta sempre il fico come un piatto salato, mentre nella sua prima “attestazione” veniva indicato come dolce e nel 2019 la chef del ristorante Rosenberg di Gorizia, Michela Fabbro, in occasione della manifestazione Gusti di Frontiera, lo ha presentato in questa versione rifacendosi proprio alla prima ricetta del frico che è stata scritta come detto dal Maestro Martino nel suo libro. La Fabbro era partita dall’idea di abbinarlo con le pere in modo da riportare questo piatto indietro nel tempo quando il formaggio e questo frutto erano compagni di viaggio apprezzati su tutte le tavole, poi ha scoperto che il “frico” nella ricetta originale nasceva proprio come dolce. L’abbinamento del formaggio con le patate nel Medioevo era una cosa comune in tutti i territori dell’arco alpino, ma il frico è proprio un piatto tipicamente friulano, mentre in altre zone come ad esempio la Savoia, si trovano delle preparazioni, le tartiflette, che prevedono l’aggiunta del guanciale, ma che variano anche dal punto di vista della preparazione, con tutti gli ingredienti che vengono mescolati, e della cottura, che viene eseguita in forno e non in padella. Alcune varianti sono presenti anche in Friuli, con il file che prevede la tostatura delle patate in padella, e il daspe, nel quale sono invece bollite diventando fondenti con l’abbinamento con il formaggio in crema, precedentemente reso acidulo dall’aggiunta di aceto. In tutte queste preparazioni il frico è “salato”. Nella ricetta del “Caso in patellecte” presentata da Michela Fabbri si usano questi ingredienti, con i quali si possono preparare 25 palline: 125 grammi di formaggio di malga con una stagionatura di 6 mesi, 125 grammi di formaggio di latteria con una stagionatura di 15 giorni, 250 grammi di patate cotte al vapore, 100 grammi di noci e la necessaria quantità di sale e pepe. Questi ingredienti sono necessari per realizzare l’impasto, mentre per la successiva impanatura sono necessarie uova, farina e pane grattato. Per la realizzazione della salsa alle pere sono necessarie pere biologiche, 1 chilogrammo, chiodi di garofano, anice stellato, cannella e cardamomo. Altre 2 pere sono necessarie per la rifinitura del dolce. La pima operazione da eseguire è il taglio sia del formaggio che delle patate che deve essere fatto a lamelle. Dopo aver mescolato l’impasto lo si cuoce in una pentola “antiaderente” tenendo il fuoco molto basso in moda da evitare che sul fondo della pentola si formi la crosticina. Quando il composto è divenuto omogeneo si aggiungono le noci, precedentemente tritate e poi si toglie il tutto dal fuoco. A questo punto, prima che il composto ottenuto si raffreddi, si passa a preparare delle palline, magari utilizzando uno “spallinatore” di quelli che ormalmente vengono usati per sporzionare il gelato. Le palline vanno passate nella farina, e successivamente prima nell’uovo e poi nel pane grattato, per poi friggerle in padella con olio di semi. Le pere devono essere cucinate in maniera separata, dopo averle tagliate a tocchetti e con l’aggiunta degli aromi, Quando hanno raggiunto il giusto grado di morbidezza devono essere frullate e successivamente poste nell’essiccatore. A questo punto per comporre il piatto si pone la salsa di pere su un piatto, posizionando sopra tre delle palline fritte e delle foglie di pera essiccate come decorazione finale. Anche in questo caso si può abbinare il piatto con uno dei vini da dessert regionali come il Verduzzo od il più raro Picolit.